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Oggi non mi sento empatico. Come faccio?
Nel mondo della medicina si sta finalmente affermando la consapevolezza che la comunicazione con il paziente rappresenta a tutti gli effetti un momento di cura, dal quale dipende la qualità del percorso terapeutico e l’instaurarsi di un clima di fiducia.
Si sta anche iniziando a dare la giusta considerazione alla capacità di immedesimarsi nel mondo del paziente, per comprendere le sue emozioni e guidarlo in maniera personalizzata.
I notevoli progressi delle neuroscienze ci stanno facendo scoprire come sia innata la capacità dell’essere umano di calarsi nei panni degli altri. Questa predisposizione ci porta a emozionarci vedendo un film commovente, proprio come se stessimo vivendo personalmente quelle situazioni, ad agitarci sulla poltrona assistendo a una partita di calcio, proprio come se fossimo noi a essere in campo, o a scambiarci sorrisi con bambini di pochi mesi.
Parliamo molto e con molta disinvoltura di empatia e ci illudiamo che il solo discuterne ci renda più umani e compassionevoli, ma purtroppo non è così! Il fatto di avere una predisposizione neurofisiologica non determina necessariamente un atteggiamento empatico nelle relazioni interpersonali.
Infatti, sappiamo molto sui neuroni specchio e sulle emozioni, ma ci comportiamo spesso in modo aggressivo e litigioso; professiamo l’ascolto attivo, ma siamo concentrati su noi stessi e sui bisogni personali; parliamo di assertività, ma tentiamo di affermare i nostri presunti diritti, negandoli agli altri.
Si riscontra questa incoerenza ogni giorno: nei luoghi di lavoro, nel traffico, nella scuola e negli agguerriti e imbarazzanti dibattiti televisivi. Una riunione condominiale è capace di provocare veleni e rancori personali che durano tutta una vita e partite tra ragazzini talvolta si concludono con i genitori che si picchiamo sugli spalti.
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