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Paradigma

Trent’anni fa, era il novembre del 1992, JAMA pubblicò un articolo firmato da un nutrito gruppo di medici e docenti nordamericani, molti dei quali appartenenti alla canadese McMaster University.

“Un nuovo paradigma sta emergendo nella pratica medica”, questo l’incipit dell’articolo. Un’asserzione forte, dal momento che la parola paradigma non era stata scelta a caso. Infatti, il filosofo della scienza Thomas Kuhn, citato dagli autori, utilizza questo termine per indicare “un intero modo di fare scienza in una particolare disciplina. È un pacchetto di tesi sul mondo, di metodi per raccogliere e analizzare i dati, e di consuetudini di pensiero e azione scientifici” (cfr. Teoria e realtà di Godfrey-Smith). Un cambio di paradigma implica quindi una rivoluzione scientifica, in cui un modello entra in una crisi irreversibile per essere sostituito da qualcosa di radicalmente nuovo. Quella degli autori non era quindi una proposta, quanto una presa d’atto.

Il nuovo paradigma era la evidence based medicine.

Le poche pagine del 1992 non nascevano dal nulla, ma arrivarono in un momento in cui i trial randomizzati stavano diventano lo standard della ricerca clinica, comparivano le prime meta-analisi, le biblioteche mediche si dotavano di banche dati, e a partire da “Clinical Epidemiology”, il seminale libro del 1985, erano state messe a diposizione dei clinici guide su come trovare, valutare e integrare nella pratica la letteratura scientifica.

Fu davvero un cambio di paradigma? I giudizi oggi sono diversi. Ci sono quelli che hanno rifiutato l’idea dall’inizio (la ebm è per natura antiautoritaria) e non hanno mai cambiato idea. Quelli che non hanno capito (o forse non ci hanno mai provato) e pensano ancora sia tutta una questione di randomizzazioni e statistica. E quelli che si aspettavano una rivoluzione che in pochi anni avrebbe radicalmente cambiato la medicina, e sono rimasti delusi.

Personalmente credo che ci sia stato un prima e un dopo. E che il dopo sia molto meglio. Perché la evidence based medicine, piuttosto che una violenta rivoluzione, si è rivelata una lenta riforma che però ha migliorato quasi tutto nella medicina (benché in misura diversa): la ricerca clinica, le riviste scientifiche, la formazione, la comunicazione e la salute dei pazienti.
Il lavoro è lungi dal concludersi, ma penso che dopo trent’anni potremmo abbandonare l’espressione evidence based, perché oggi non esiste un’alternativa, questa è l’unica medicina possibile.

Buona lettura.

Giovanni Lodi, Direttore Scientifico Dental Cadmos

Table of Contents: Vol. 90 – Issue 6 – Giugno 2022

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