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Osteonecrosi mascellare associata a rituximab in paziente affetto da linfoma a cellule B

Obiettivi  Descrivere il caso di un paziente presentatosi presso la nostra unità operativa per tumefazione gengivale in arcata superiore, poi diagnosticata come linfoma diffuso a grandi cellule B, e che, in seguito a trattamento immunochemioterapico tramite rituximab associato a corticosteroidi ad alte dosi sviluppava una necrosi ossea farmacocorrelata a carico della mascella.

Materiali e metodi  Un paziente di 71 anni giungeva alla nostra attenzione presentando, all’esame obiettivo intraorale, una tumefazione a carico della gengiva aderente del settore anteriore superiore (II sestante), sia vestibolare che palatale, di consistenza diminuita e di colore leggermente più chiaro rispetto alla controparte fisiologica. La lesione non era dolente alla palpazione e si estendeva dal fornice vestibolare fino a coprire circa la metà delle corone degli incisivi centrali superiori.

Al di sotto degli strati epiteliali superficiali risultava evidente una ricca vascolarizzazione.

A seguito del prelievo bioptico della neoformazione gengivale si poneva successiva diagnosi anatomopatologica di NHL, linfoma diffuso a grandi cellule B. Il paziente è stato sottoposto a immunochemioterapia secondo lo schema R-CHOP – rituximab 1400 mg, ciclofosfamide 1500 mg, doxorubicina (Adriblastina®) 80 mg, vincristina (Oncovin®) 2 mg – associata a metilprednisolone 80 mg.

Successivamente al terzo ciclo di immunochemioterapia è stata eseguita una visita di controllo odontoiatrica, che ha evidenziato un’area di esposizione di osso necrotico, senza segni di infezione, a carico della premaxilla.

La diagnosi risultava compatibile in prima ipotesi con MRONJ. La lesione veniva trattata tramite terapia antibiotica e intervento di sequestrectomia della porzione di osso necrotico con contestuale prelievo bioptico dello stesso.

Risultati e conclusioni   L’esame istopatologico confermava la diagnosi di osteonecrosi da farmaci, in particolare da corticosteroidi e rituximab, entrambi prescritti secondo lo schema di immunochemioterapia R-rituximab, Ccyclophosphamide, H-doxorubicin (hydroxydaunomycin), O-vincristine, P-prednisolone (R-CHOP).

La terapia di queste malattie linfoproliferative si basa tradizionalmente sulla chemioterapia, la radioterapia e il trapianto del midollo osseo. Recentemente sono stati introdotti, con ottimi risultati, gli anticorpi monoclonali, fra cui il rituximab, come ausilio in queste cure. I linfomi a cellule B, infatti, presentano elevata espressione di specifiche proteine di superficie come CD19, CD20 e CD22, che rappresentano potenziali target terapeutici.

Il CD20 è coinvolto, in particolare, nella regolazione del calcio intracellulare, del ciclo cellulare e dei meccanismi apoptotici. Il rituximab è un anticorpo monoclonale anti-CD20, definito di tipo chimerico dal momento che presenta una percentuale di amminoacidi di origine murina (pari a circa il 34% del totale), mentre la restante parte è di origine umana.

Il rituximab, riconoscendo l’antigene CD20 sovraespresso nelle cellule B tumorali, porta ad apoptosi delle stesse mediante diversi meccanismi fra cui l’attivazione della cascata del complemento, l’induzione del signaling correlato ad apoptosi e la citotossicità diretta anticorpo-mediata. Come con gli altri agenti biologici utilizzati, l’uso del rituximab comporta potenziali effetti avversi.

Circa un caso su tre manifesta reazioni infusionali non pericolose per la vita (nausea, ipertensione, prurito, brividi, rigidità ecc.) mentre le infezioni colpiscono il 39% dei pazienti trattati con questo farmaco.

Negli ultimi anni, un numero crescente di studi ha riportato casi di osteonecrosi avascolare dei mascellari correlati a farmaci (medication-related osteonecrosis of the jaws, MRONJ), tra i quali anche anticorpi monoclonali.

Significato clinico  Sulla base del crescente numero di casi riportati in letteratura, sembrano esserci diverse nuove classi di farmaci associate all’insorgenza di osteonecrosi delle ossa mascellari.

È necessario riconoscere quindi la possibilità concreta di insorgenza di necrosi ossea anche in pazienti non in terapia con farmaci anti-riassorbimento osseo o anti-angiogenetici.

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Table of Contents: Vol. 87 – Issue 05 – Maggio 2019

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