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Modelli
Non so se qualcuno tra voi si ricorda di Emma Ruzzon. Se il nome non vi dice niente, probabilmente rammenterete il suo intervento durante l’inaugurazione dell’anno accademico dell’Università di Padova, quando aveva denunciato davanti a docenti, rettore e ministro dell’università, il malessere di chi frequenta le aule universitarie, elencando i recenti casi di suicidi tra studenti sopraffatti dal timore (o dal senso) di fallimento, alternandoli con presunti modelli di straordinario successo proposti dai media, quali lo studente che ha conseguito sei lauree in cinque anni, o il baby dottore.
La tesi è che aspettative e pressioni di familiari, docenti e società basati su questi modelli siano troppo per una generazione resa più fragile da pandemia e guerra, e che fatica ad avere fiducia nel futuro.
Da docente universitario le parole dalla studentessa di Padova mi hanno suscitato pensieri in conflitto. Perché se è possibile, come dice un noto filosofo ed ex rettore, che la scuola sia “travolta da un’ansia di prestazione, preoccupata di formare al lavoro, presa da una smania produttivistica”, è altrettanto vero che se non si mette in conto qualche insuccesso, qualche brutta sorpresa, qualche inciampo e magari pure qualche colpo basso si rischia di perdersi anche tutto il bello.
Allora ho guardato ai miei studenti. Studenti di un corso di laurea un po’ speciale che, a metà del percorso, entrano a far parte di una comunità fatta di compagni, giovani colleghi, tutori, insegnanti. Comunità che istruisce, protegge e aiuta a crescere. Fino al giorno della laurea.
Ma dopo? quando il gioco si fa duro? quali sono i modelli che stiamo proponendo ai futuri colleghi? quali aiutano a crescere e quali meno? Io non lo so, ma mi sono divertito a mettere insieme questo (incompleto) elenco: la specialista che fa consulenze passando da uno studio all’altro; l’odontoiatra autosufficiente che ha creato lo studio a sua immagine e somiglianza; l’universitaria che cura, ricerca e insegna; il professionista che lavora a cottimo per altri, ma che quando stacca non ne vuole sapere di denti e pazienti; il super specialista che fa benissimo una sola cosa e divide il suo tempo tra clinica e corsi; la stella dei social; il clinico che vede l’odontoiatria solo come un’impresa redditizia e tratta clienti; il dentista delle star; la volontaria che regala parte del suo tempo ai meno fortunati.
E i vostri di modelli, quali sono (stati)?
Buona lettura.
Giovanni Lodi, Direttore Scientifico Dental Cadmos